Milano: con il volontariato si comincia e ricomincia
Una storia di rinascita tra i banchi della scuola di italiano gratuita per migranti, dove il volontariato fa bene tanto a chi lo fa quanto a chi lo riceve.
A Milano, e in tutte le altre sedi in Italia, la Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, è un luogo di accoglienza e scambio. Come gli studenti, che imparano la lingua e poco a poco scoprono anche un mondo nuovo, anche gli insegnanti volontari hanno una loro storia e una lezione alla volta vedono cambiare la loro vita, inaspettatamente. Questa è la storia di un incontro tra una nuova volontaria e un giovanissimo studente, che si trasforma in un’occasione di nascita e rinascita per entrambi.
Miracolo a Milano
di Marina Baumgartner
C’era una volta una vecchia ragazza, col cuore in frantumi perché la sua favola bella era finita nel più tragico dei modi: la morte del suo amore. Ed i cocci erano così tanti che lei non sapeva più come e dove raccoglierli. Si erano spente le lucine nei suoi occhi, gli angoli della bocca si erano piegati all’ingiù, la sua risata era sparita, inghiottita nel dolore. Ma i giorni, i mesi, gli anni passavano ed era tempo di reagire.
Una fatina buona, sempre esistita ma diventata più assidua nel tempo del bisogno, le aveva segnalato una scuola di italiano per migranti, la Penny Wirton, dove avrebbe potuto rendersi utile. Lei, che per 20 anni aveva insegnato in inglese “Fashion communication” in Master internazionali, aveva reagito: “Ma come faccio, non ho mai insegnato italiano, non sono capace!”, ma siccome le sfide, grandi e piccole, erano e sono parte della sua rinascita, aveva accettato.
Dopo aver parlato con una dolce signora, dalla voce gentile e dallo sguardo buono, che reggeva le sorti di tutta la scuola, era stata catapultata in una realtà così diversa dai suoi precedenti 20 anni: al posto di studenti griffati dalla testa ai piedi c’era una moltitudine di facce, capelli, sorrisi, età, vestiti tutti diversi l’uno dall’altro ma con tanti occhi ugualmente spalancati sulla speranza di una vita diversa. Al posto delle aule supertecnologiche con megaschermi, in splendide stanze dai soffitti affrescati, c’erano stanzoni con tavoli in comune, due o tre insegnanti e quattro cinque studenti. E spesso le voci si sovrapponevano, e gli studenti troppo alti per quelle sedie si stiravano e contorcevano, alla ricerca di una posizione comoda. Lei, con in mano il suo libro “A1, facile facile” manuale di italiano per studenti alle prime armi, aspettava curiosa.
Lei, che poi sono io, ha avuto una grande fortuna: di trovare un allievo ragazzino, ma che dentro ha tanti tesori da scoprire. E piano piano, mentre io scopro lui, lui cerca di imparare l’italiano. Partendo da un alfabeto completamente diverso e da zero lingue in comune: non è sempre un compito facile. Ma le mani, la mimica, i gesti e Google translator aiutano tantissimo. Io scopro un ragazzo che, come tanti altri, è scappato da una guerra ma ha la fortuna di avere parte della sua famiglia accanto. Un ragazzo che ama la musica e la poesia ed è innamorato dei versi del maggior poeta della sua terra. Che, come me, è un cultore del tè quello vero, e non della bustina che in tanti bar ti sbattono in una tazza di acqua calda. Che ama la cioccolata nera, il peperoncino e il mare, come me. Che ha una sensibilità rara, almeno secondo me che, non avendo né figli né nipoti, non frequento adolescenti.
I miei studenti coperti di loghi erano per lo più laureati e comunque con obiettivi totalmente diversi. Sono due mesi che ci vediamo, lui ed io, due volte alla settimana, a parte qualche mia defaillance: sono caduta dagli sci e ho avuto un mal di pancia notturno, poi ci sono sempre stata. A volte sbaglia nella coniugazione e mette insieme il verbo essere e il verbo avere. Ma io penso: se mi sbattessero improvvisamente in Cina e non capissi né lingua né alfabeto, cosa farei? E con un sorriso soave, io che sono la dea dell’impazienza, spiego di nuovo e faccio esempi.
Siamo andati alla Pinacoteca di Brera, qualche settimana fa, ed è stato bellissimo vedere il suo interesse e il non saper dove guardare, sopraffatto da troppi stimoli. Alla fine della visita ha deciso di tornare indietro a rivedere un Picasso e il Cristo Morto del Mantegna che, ahimè per le mie gambe, era all’inizio delle 38 sale. Mi ha detto che è rimasto impressionato dal silenzio con cui tutti guardavano quadri e sculture. Lui sorride poco, ma quel giorno, alla fine, aveva un sorriso largo. Una volta abbiamo parlato delle nostre cicatrici: io mi sono rotta l’osso del collo in un incidente e lui ha fatto un numero imprecisato di cadute dalle scale e dalla bicicletta di cui porta piccoli segni sulla testa, le braccia, le mani.
Ieri siamo andati in una piccola sala da tè, con una lista di otto pagine: lui con piglio sicuro ha scelto un tè nero cinese, io un tè nero aromatizzato con pezzetti di mandorle e boccioli di rosa e mi sono concessa anche una crostata vegana con marmellata di albicocche e lavanda. Lui è stato inflessibile: “Dolce no”. Nell’uso di burro, panna e olio i nostri gusti divergono, ma nessuno è perfetto. A ogni lezione lui, a fatica, si fissa in mente coniugazioni ed eccezioni, sostantivi maschili che finiscono con la “e” e con la “a”, mille sfumature di una lingua difficile come l’italiano. Ogni volta io, a fatica, scopro un suo sogno di ragazzo, piccolo o grande che sia. E ricomincio a vivere.