La Partigiana di Forlì
A Forlì, a pochi passi dal centro storico, in via Andrelini c’è uno spazio che si chiama Centro della Pace. Qui si incontrano e si coordinano le associazioni del territorio impegnate nella promozione della nonviolenza, dei diritti umani e dell’educazione interculturale.
Questa stessa strada, che all’occhio inesperto appare una delle tante di una cittadina romagnola, è nota anche perché ci abita Antonia Laghi, staffetta partigiana, che con il nome di battaglia “Tonina” fu parte attiva della Resistenza nel territorio.
Tra queste vie, dove si respira la storia, ma anche la cultura e una buona dose di speranza nel futuro, ha trovato la sua casa la scuola Penny Wirton di Forlì. Nel suo ultimo libro “Via dalla pazza classe”, uscito da Mondadori, Eraldo Affinati, fondatore delle scuole Penny Wirton, ha dedicato un capitolo a questa sede e a questa strada romagnola: luogo di incontro ma anche di memoria, e in cui ogni giorno si rinnova la democrazia.
Il titolo del capitolo è “La Partigiana”, forse perché partigiana è proprio questa scuola e chi la popola insieme alle oltre quaranta postazioni Penny Wirton in tutta Italia.
Su I Quaderni della Penny Wirton, da oggi, è possibile leggere questo estratto da “Via dalla pazza classe”. Per riflettere, per parlarne con gli amici, per raccogliere qualche strumento da consegnare alle nuove generazioni, perché la memoria genera futuro e nel frattempo ci aiuta a capire meglio il presente che stiamo vivendo per raddrizzarlo.
La partigiana
di Eraldo Affinati
La Penny Wirton di Forlì si trova al Centro della Pace di via Andrelini: l’hanno creata Massimo e Liana, marito e moglie. Due persone straordinarie, sempre pronte a rimettersi in gioco, consapevoli che non si può essere felici se l’infelicità colpisce chi ti sta accanto. Inoltre il posto dove cominciarono a insegnare l’italiano agli immigrati, con il contributo di tanti volontari che vanno e vengono, ha per me qualcosa di speciale. La prima volta che sono andato da loro, ho scoperto che i locali si trovano nella stessa strada dove vive Antonia Laghi, la donna che, durante la Seconda guerra mondiale, gettò in segno di omaggio dei papaveri rossi sul cadavere di mio nonno, fucilato dai nazisti.
Quando mi sono reso conto della vicinanza fra lei e la scuola romagnola, capace di coinvolgere tanti ragazzi italiani come docenti, ho avuto l’impressione che il Novecento, questo secolo tragico e sanguinario, avesse voltato pagina. Allora mi sono diretto al centro di riposo per anziani intitolato a Pietro Zangheri, attraversando una palude dentro me stesso. Mentre percorrevo i corridoi dell’istituto, prima di bussare alla porta della sua stanza, ho sentito mio nonno che mi batteva una mano sulla spalla: «Vai, Eraldo!». Per Antonia Laghi, così come per lui, la Resistenza fu più di una realtà politica. Entrambi, schierandosi contro i fascisti in nome della libertà, compirono nelle brigate Garibaldi la loro educazione sentimentale.
Mio nonno morì insieme a nove cittadini italiani. Coi partigiani Antonia divenne grande, capì che un essere umano da solo non ha peso. Ecco perché, finché le è stato possibile, è sempre andata nelle scuole a parlare ai ragazzi. Ha sentito la necessità di raccontare la sua storia affinché essi ritrovassero i valori con i quali lei è cresciuta. A questi giovani, prima ancora delle parole, dobbiamo dare azioni da compiere, impegni da svolgere, amicizie da costruire. Quel clima affettivo senza il quale in teoria non dovremmo nemmeno iniziare a spiegare. È stata Antonia Laghi a farmi capire che la democrazia non la possiamo dare per scontata. Va riconquistata sempre, giorno per giorno, ora per ora. E stavolta su scala planetaria.
Abstract da “Via dalla pazza classe”, Mondadori 2019