Shoah: Affinati, non diamo per scontata la memoria

“Ogni generazione ricomincia da capo e gli adulti non dovrebbero mai dare niente per scontato”. Queste le parole che Eraldo Affinati ha affidato a un editoriale pubblicato su Roma Sette, inserto del quotidiano Avvenire, in occasione del Giorno della Memoria e che ci fanno riflettere su quanto il ricordo vada rinnovato, giorno per giorno, di generazione in generazione. In un periodo in cui si assottigliano le testimonianze dirette della Shoah, a causa della scomparsa dei sopravvissuti, è ancora più importante ragionare su quanto ognuno può e deve fare per alimentare la speranza nel futuro e impedire che certi orrori storici non si ripetano. A 75 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, di fronte a un crescendo di episodi di razzismo e discriminazione in Europa e in Italia, c’è ancora molto, forse ancora di più da fare, per non dimenticare.


Di seguito proponiamo la lettura di “La speranza nel fazzoletto per Giulia”, pubblicato su Avvenire Roma Sette il 26 gennaio; e il link ad altri due articoli di Eraldo Affinati: un primo apparso oggi, 27 gennaio, su Il Riformista dal titolo Giornata della Memoria, quando non ci saranno più i testimoni come faremo a ricordare? e l’altro “La specie umana di Antelme, le isole di umanità nella barbarie“, pubblicato sempre oggi e sempre su Roma Sette Avvenire.

“La speranza nel fazzoletto per Giulia” 
di Eraldo Affinati 

Nel 1995, insieme a due miei amici, andai da Venezia ad Auschwitz utilizzando mezzi poveri (autostop, treno, autobus, in parte a piedi): da quel viaggio ricavai un libro, Campo del sangue, che nelle stagioni successive presentai in centinaia di scuole, dentro e fuori i confini nazionali. Indimenticabile per me resta una conferenza berlinese quando parlai dei massacri nazisti davanti ai potenziali nipoti dei fucilatori di mio nonno, il 26 luglio 1944, o della Ss a cui sfuggì mia madre alla stazione di Udine il 2 agosto 1944. A quel tempo non c’era ancora la Giornata della Memoria, celebrata per la prima volta in Italia nel 2001 per commemorare le vittime della Shoah (il termine Olocausto, a giudizio di molti storici, è improprio). 

In questi venticinque anni abbiamo visto svilupparsi due fenomeni contrapposti: da una parte è cresciuta la consapevolezza dell’unicità dello sterminio nazista e quindi si sono diffuse le iniziative al riguardo, fino al punto di considerare i viaggi delle scolaresche nei lager come tappe fondamentali per l’educazione culturale dei giovani europei; dall’altra continuano a moltiplicarsi, su scala mondiale, gli episodi di antisemitismo, non solo i più feroci ed eclatanti, tipo l’oltraggio dei cimiteri parigini, gli atti terroristici o le vicende che da noi hanno coinvolto la senatrice Liliana Segre, ma quelli più legati al vecchio pregiudizio antiebraico, pronto a riaffacciarsi in cento modi, spesso intrecciato al nuovo razzismo nei confronti degli immigrati. 

La nostra città, in particolare, che tanto sangue versò alla barbarie totalitaria, hitleriana e fascista, è stata al centro, in tempi recenti, di alcune inquietanti recreduscenze: basti pensare alle frequenti violazioni subite dalle benemerite pietre d’inciampo che l’artista tedesco Gunter Demnig, con drammatica e commovente dedizione, non smette di apporre davanti alle case dei deportati, oppure alle scritte ingiuriose contro Anna Frank comparse negli stadi. Di fronte a tali episodi c’è il rischio, inutile negarlo, di cedere allo sconforto: sarebbe un grave errore, soprattutto oggi che, venendo a mancare per ragioni anagrafiche i protagonisti delle stragi, aumenta ancor più la necessità di raccogliere il testimone che loro ci hanno consegnato. 

Gli insegnanti lo sanno: ogni generazione ricomincia da capo e gli adulti non dovrebbero mai dare niente per scontato. Bisogna sempre rimettersi all’opera, senza perdere la speranza: la mia, in particolare, nasce dal ricordo di tanti adolescenti capaci di comprendere e condividere. Come il giorno in cui portai Giulia Spizzichino, sfuggita al rastrellamento del 16 ottobre 1943 al Portico d’Ottavia, a incontrare i miei studenti. Seduta dietro alla cattedra, seppe coinvolgere i ragazzi con la semplicità disarmante della memoria diretta. Le sue erano vicende tragiche di parenti trucidati alle Fosse Ardeatine e a Birkenau. Lampi criminali, fra guerre, omicidi, manifesti della razza, eroismi e delazioni, fughe e salvezze, Mussolini, Erich Priebke, il carcere di Via Tasso… Fu una straordinaria lezione di storia, geografia, diritto, religione, poesia. A un certo punto Giulia, ricordando i famigliari scomparsi, si commosse, non riuscendo per qualche istante a continuare. 

Un profondo silenzio calò nell’aula solitamente invasa dal frastuono. Allora uno studente, di propria iniziativa, uno di quelli che solitamente stava sempre zitto, non interveniva mai, ma io sapevo che aveva dentro di sé alcuni grovigli irrisolti, si alzò in piedi, superò la fila di banchi dirigendosi verso la donna emozionata. Teneva in mano un fazzolettino di carta appena estratto dalla confezione di plastica. Glielo porse e tornò a sedere. Fu come se lo avesse fatto a nome di tutti i compagni. Lei si asciugò le lacrime, disse: grazie caro. E riprese il racconto.

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