Italiano: riscoprire la lingua insegnandola
L’italiano si impara, ma lo si riscopre anche ogni volta che lo si insegna. Lei è una insegnante volontaria, lui uno studente che viene dalla Nigeria. Entrambi sono molto giovani: 21 anni, con tutto quello che i vent’anni si portano dietro. Sogni, speranze, ma anche inquietudini e fretta di rincorrere obiettivi. Caterina Nisi, volontaria della Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, di Bologna in questo racconto ci accompagna alla riscoperta della lingua italiana attraverso la relazione umana che si instaura nell’insegnamento della lingua ai migranti. E lo fa ripercorrendo alcune lezioni con Hassan, nome di fantasia, del giovane studente nigeriano
Italiano, riscoprirlo insegnandolo
di Caterina Nisi
Hassan è un ragazzo originario del Benin della mia stessa età, ha 21 anni. Hassan è in Italia da qualche anno e ha una certificazione per fare il saldatore; nonostante cerchi lavoro per poter rimanere in Italia, non ha ancora trovato un posto per svolgere la professione per la quale si è preparato e l’unica alternativa che ha è fare le pulizie. Istintivamente penso a come sia quasi fortunato, associando le sue prospettive lavorative a quelle di migliaia di immigrati che fanno i braccianti nelle campagne italiane, in condizioni disumane (per menzionare uno dei casi più eclatanti), o alle prospettive di vita bruscamente interrotte di quelli che dell’Italia hanno visto forse solo il mare profondo. Ma questo non significa in ogni caso che per Hassan sia giusto accontentarsi di qualsiasi cosa pur di poter rimanere nel paese che lo ha accolto.
Insegno ad Hassan a parlare come meglio può la nostra lingua, a distinguere quando usare “essere” invece di “avere” nel passato prossimo e come associare suoni e parole ancora sconosciute a cose concrete che utilizza e vede intorno a sé da molto prima che ci conoscessimo. Riscopro regole della mia lingua che non pensavo avessi mai conosciuto, riposte nel cassetto qualche anno fa, insieme ai quaderni delle elementari. Imparo nuovamente perché l’articolo “lo” si utilizza solo davanti a determinate consonanti e come i nomi collettivi, anche se usati al signolare, regalino un senso di completezza, di comunione.
Hassan vuole rimanere in Italia perché qui si sente accolto, nonostante qualche sacca resistente di razzismo. Hassan ama la cultura del nostro paese e le bellezze in cui si imbatte anche lui girando per Bologna. Qualche giorno fa Hassan mi ha detto che gli sarebbe piaciuto parlare di Leonardo da Vinci, perché aveva sentito parlarne da alcuni suoi amici. Oggi quindi niente regole grammaticali ed esercizi, chiacchieriamo un po’ tra di noi.
Ho chiesto ad Hassan cosa pensa di quello che sta succedendo in America, ora anche in Italia, trascinata inevitabilmente dall’ondata impetuosa. Nel suo italiano ancora stentato Hassan mi ha risposto con un concetto che sorprende per la sua elementarità, ancor più sapendo come in molti si ostinino ancora a non volerlo accogliere. “Non è una maledizione essere nati in Africa o essere neri, siamo tutti uguali, respiriamo la stessa aria. Ma ci sono persone ignoranti che si sentono superiori”.
Io ora non so prima di venire in Italia come fosse la vita di Hassan, vedo che non ama parlarne; non so neanche come è stata prima di incontrarci, nei mesi che ha trascorso in Italia, né forse riesco a definirla con esattezza ora. Forse mi vede solo come una ragazza che ogni tanto lo aiuta e lo tedia anche un po’ nel ripetere più volte questo o quell’altro verbo. Io però vorrei ringraziarlo perché Hassan mi ha insegnato l’importanza e il valore dei nomi collettivi.