Migranti: storie di viaggio e coraggio
Ahmed e Loai sono due ragazzi egiziani appena diciottenni, da poco in Italia. Marina Del Fabbro, volontaria della Penny Wirton di Trieste li incontra due volte a settimana per le lezioni della scuola gratuita per migranti.
Nel Delta il papà di Ahmed costruisce impalcature. Lavora tanto ed è pagato poco. Nel Fayoum il papà di Loai mantiene moglie e figli impastando concime. Loro due volevano una vita migliore: ancora minorenni asono partiti.
E questo è uno stralcio di una loro conversazione con la maestra.
Non guardiamo altrove
di Marina Del Fabbro
– Avete mai raccontato del vostro viaggio a qualcuno?
– Nessuno chiesto.
– Neanche i genitori?
– Loro detto tutto bene, tutto bene, stare bene.
– Dite a me.
– Dall’Egitto in Italia. In Turchia in aereo. Poi a piedi: due mesi, camminato tanto.
– Per mangiare, bere, dormire?
– Mangiare… bere acqua in terra, dormire in bosco.
– Come sapevate la strada?
– Gps, ma portato via cellulare tante volte.
– E come avete fatto?
– Tra alberi con siriani, famiglie, bambini, gruppi. In Grecia via vestiti, tutti vicino al mare e spinti in acqua.
– Ma Ahmed, tu non sai nuotare, come hai fatto?
– Amici preso.
– Avete avuto paura?
– Freddo, tanto, tanto freddo, lui tremare come gallina, io no, paura mai, maschio egiziano no paura.
– Nessuno vi ha fermato?
– In Albania persone con ferro. Loai su braccia, Ahmed in testa, non capire più niente in Croazia: picchiati tutti.
– Anche i bambini piccoli?
– No, bambini via.
– E i vestiti, dove li avete persi?
– In campi. Adesso noi in Trieste, ma amico non passare, rimane un anno
“Sono una triestina qualunque – scrive Marina dopo questa conversazione -. Come tutti, da tempo sono informata della rotta balcanica, del cosiddetto Game, delle violenze, della disumanità dei campi. Ma anche io, pur sapendola vicina, la avevo sentita come una realtà, atroce sì ma in un certo senso fuori dal mio personalissimo vissuto. Il mercoledì in cui abbiamo avuto questa conversazione, io Ahmed e Loai era il 27 gennaio, giornata in cui tutti ricordiamo i milioni di sterminati nei lager, vittime dei nazisti ma anche della colpevole e vergognosa indifferenza di tanti che sapevano ma hanno guardato altrove, perché quello che accadeva era fuori dal loro personalissimo vissuto. Non aspettiamo un’altra crudele strage per istituire un’altra giornata della memoria balcanica, e soprattutto per vergognarci della nostra indifferenza: decine e decine di Ahmed, Loai, Mustafa sono qui, tra noi, e altrettanti ancora si trovano ancora tra Albania, Grecia, Serbia, acquattati nei boschi, senza abiti, bagnati, derubati, manganellati mentre noi guardiamo altrove”.