Scuola: studenti-insegnanti testimoni d’accoglienza
“Siamo grati di poter contribuire all’aspetto di accoglienza e integrazione per la nostra città”, dicono Deniz ed Elia. “Certamente è importante l’insegnamento dell’italiano, ma forse l’importanza della Penny Wirton sta nel ridare importanza a questi ragazzi, nell’offrire loro un momento in cui non sono il profugo afghano o la profuga siriana, ma una ragazza o un ragazzo che si confrontano con altri ragazzi”, racconta Fedro.
Sono alcune delle centinaia di testimonianze che la Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, raccoglie ogni anno tra giovani studenti italiani, spesso liceali, che provano l’esperienza del volontariato nelle vesti di insegnanti. Queste arrivano dalla Penny Wirton di Lugano.
Crescere e sviluppare i rapporti umani
di Deniz ed Elia
Ricordo di essermi sentita inizialmente spaesata e ammetto che mi era stato difficile realizzare concretamente che proprio io, che un momento prima ero seduta a fare l’allieva, improvvisamente mi trovavo a entrare nel ruolo di docente. Dall’altra parte però, mi sentivo rassicurata da un’altra ragazza che come me stava insegnando e aveva più esperienza alle spalle. Per questo durante i primi incontri seguivo lei per ambientarmi meglio.
Ricordo che d’istinto avevo adottato un atteggiamento abbastanza cauto, osservavo gli studenti che mi erano stati assegnati con il fine di conoscerli e desiderosa di capire il loro livello di apprendimento. Questo mi permetteva quindi di proporre delle attività che mi sembravano in linea con le lacune che necessitavano colmare. Continuando ad andare alla Penny Wirton, però, ho cambiato metodo, riuscendo infine a raggiungere gli scopi prefissi senza dover far ricorso a un iniziale momento di pura osservazione.
Ma vorrei aggiungere che questo è stato possibile soprattutto grazie al fatto che le lezioni alla Penny Wirton sono abbastanza flessibili e ciò mi ha dato un certo margine di libertà nel decidere come gestire il tempo dell’apprendimento. Il tutto dipendeva un po’ dalle esigenze di ogni allievo e quindi mi sono trovata ad adattarmi con piacere e curiosità a ogni singola situazione, consapevole del fatto che non potevo programmare ciò che dovevo insegnare, prendendo questo apparente impedimento come straordinaria opportunità formativa.
Alla prima lezione dell’anno, non avendo esperienza alle spalle, temevo che l’ansia da prestazione deludesse tutti i miei buoni propositi, eppure una volta sedutomi al banco, di fronte ad un tredicenne timido dall’aria leggermente spaesata, sorprendendomi da solo, ho subito iniziato a dialogare con apparente naturalezza, presentandomi e ponendo alcune semplici domande, per iniziare a valutare il suo livello. Non essendoci nessun particolare divario d’età tra me e lui e non trovandoci in un contesto strettamente formale, è risultato più semplice trovare dei punti di incontro. Le prime preoccupazioni si sono materializzate 20 minuti dopo (ma premetto che non ci sono state difficoltà concrete), quando un secondo studente si è presentato e si è unito a noi: un ragazzo più grande di me, con conoscenze avanzate rispetto al ragazzo più giovane e ovviamente con esigenze d’insegnamento totalmente diverse. La lezione dunque, per quanto vi si possa arrivare preparati, spesso richiede momenti di creativa improvvisazione, la capacità di gestire più persone e più attività in simbiosi, senza trascurare nessuno. In tutto ciò aggiungerei che spesso e volentieri, l’ideale è quello di fare interagire i singoli studenti (soprattutto se con competenze differenti) tra loro, metodo che, così ho scoperto, consente di creare veri e propri piccoli gruppi di lavoro, dove tutti sono un poco insegnanti e ovviamente la gestione risulta più semplice.
Da questa prima lezione in poi, soddisfatto di aver iniziato con il piede giusto, ho iniziato ad aspettare ogni settimana il momento della Penny Wirton con entusiasmo, cercando di dargli sempre la precedenza.
Quando ho iniziato a lavorare con C., una ragazza che aveva da poco iniziato le lezioni alla Penny Wirton, ricordo nitidamente il suo entusiasmo nel momento in cui le ho rivelato che se avesse avuto problemi con la traduzione di certe parole o concetti, avrebbe potuto tranquillamente chiedere a me dato che sapevo la sua lingua madre. A partire da quel momento infatti, C. che fino a quel momento preciso sembrava essere rassegnata e non osava partecipare al lavoro di gruppo che avevo proposto, ha cambiato del tutto l’atteggiamento e ha cercato di contribuire.
Penso che nel suo caso aver finalmente trovato qualcuno che riuscisse a capirla è stato fonte di sollievo e sicurezza, facendole sparire il timore di sbagliare o di non riuscire a esporre correttamente i suoi pensieri. Nel susseguirsi delle lezioni, C. ha avuto sempre meno bisogno di chiedere il corrispettivo degli esercizi nella sua lingua e ha invece cercato di sforzarsi a interagire con me e con i suoi compagni in lingua italiana. Questo suo progresso è stato per me una grande soddisfazione. A partire da questo episodio posso affermare che la Penny Wirton non è solo un ambito per imparare l’italiano ma permette agli allievi di crescere personalmente sviluppando i loro rapporti umani.
Eravamo nel bel mezzo della prima ora, io e il mio giovane studente, lui intento a leggere un brano scelto dal libro, fluentemente ma improvvisando molti accenti tonici, e io a correggerlo ogni qual volta se ne presentasse l’occasione, con il mio fare pignolo, insistendo sulle pronunce corrette con un velo di simpatia. In questo valzer di accenti volanti, una mia compagna mi ha chiesto di scambiare il ragazzo con cui lavoravo io, con la ragazza che seguiva lei, per non dover usare un incerto inglese come lingua veicolante.
Io, seppure un poco geloso del mio studente (poiché ormai mi ci ero affezionato) e dell’efficienza generale delle lezioni, ho acconsentito: nel momento in cui mi sono alzato dal tavolo, M. ha subito interrotto la lettura e ha gridato un “nooo!” di disperazione con una certa teatralità, per poi buttare la testa sul banco, avvolta con le braccia. Dopo un attimo di sbigottimento generale, in cui per qualche secondo di silenzio ho dovuto metabolizzare la reazione e capirne il significato, gli ho proposto: “Facciamo così, ci spostiamo tutti e due vicino alle ragazze così se c’è bisogno di aiuto siamo presenti, e noi continuiamo con la nostra lezione”. Appena finita la frase si è subito ricomposto, gli si è illuminato il viso e visivamente soddisfatto dell’esito del suo dissenso, ha preso le sue cose e ha ripreso posto al nuovo banco. Da lì in poi abbiamo continuato i nostri esercizi più coinvolti di prima.
Uno dei punti forti di questa attività, è la possibilità di sviluppare un certo valore affettivo reciproco, che comunque non intacca l’aspetto professionale, nei confronti di chi si segue regolarmente e ovviamente ogni loro piccolo passo in avanti è motivo di enorme soddisfazione e fierezza per noi liceali, specialmente se si viene ricompensati con simili episodi.
In conclusione, possiamo con gioia affermare che l’esperienza alla Penny Wirton ha rappresentato per gli allievi e le allieve un’importante possibilità di superare con grandi soddisfazioni i loro ostacoli d’apprendimento e per noi insegnanti una straordinaria occasione per una crescita personale e per ampliare i nostri orizzonti sul nostro futuro professionale che, alla luce di quanto abbiamo imparato, potrà forse orientarsi verso la strada meravigliosa dell’insegnamento.
Luoghi d’incontro e crescita
di Fedro
La scuola sta per finire: a qualcuno mancano gli ultimi test, qualcun altro si appresta ad affrontare gli esami: tra poco più di un mese non sarò (forse) più uno studente del liceo e mi ritrovo a riflettere su quanto di più bello ho vissuto in questi quattro anni liceali. E mi rendo conto che una di queste cose è la scuola Penny Wirton; da qui il desiderio e in parte anche il bisogno di raccontarne la realtà. Per chi non lo sapesse, la scuola Penny Wirton è un progetto nato ufficialmente in Italia nel 2004, a Roma, con l’intenzione di “aiutare, in modo il più possibile intensivo, i tanti adolescenti moldavi, afghani, marocchini… che usavano tra loro un italiano embrionale, insufficiente a trasmettere anche solo in parte il mondo di esperienze e di emozioni di cui erano portatori”, spiega sempre il fondatore Eraldo Affinati.
Dall’anno scolastico 2017-2018, il progetto è attivo anche nella nostra sede. Non posso parlare degli anni passati, perché purtroppo mi sono finalmente deciso ad andarci solo quest’anno (l’anno scorso, per di più, vista la situazione pandemica non si era potuta svolgere), ma di quanto ho vissuto quest’anno sì. Insomma, allora, perché è stata così bella, come esperienza?
Alla scuola Penny Wirton ho conosciuto innanzitutto altri studenti del nostro liceo: alcuni visi già noti, altri no; di alcuni ero amico, di altri lo sono diventato: si forma, già solo tra ragazzi del liceo, un gruppo a mio parere molto bello, in cui si possono sì scambiare esperienze ma soprattutto condividere e vivere assieme quell’ideale di insegnamento e aiuto (che può diventare poi anche amicizia, credetemi) a ragazzi decisamente sfortunati e forse emarginati, che rischiano tristemente di restare quasi invisibili e abbandonati nella nostra società.
Soprattutto, però, alla scuola Penny Wirton ho potuto conoscere ragazzi e ragazze provenienti dai più disparati paesi, con esperienze, caratteri, retroterra culturali diversi. Con il tempo, ho conosciuto un po’ meglio alcuni di loro, che magari le prime volte neppure spiccicavano una parola di italiano; vedere dopo qualche mese i progressi, poter intavolare qualche piccola chiacchierata, non è solo una soddisfazione (che poi la maggior parte dell’italiano la imparano, direi, al di fuori della Penny Wirton), ma anche un piacere che non ha equivalenti: è vedere il mondo allargarsi a chi spesso l’ha visto, senza alcuna colpa, chiudersi atrocemente o rischia di vederlo chiudersi ora che si trova in un paese del tutto estraneo.
Certamente è importante l’insegnamento dell’italiano, soprattutto ai completi neofiti, ma forse l’importanza della scuola Penny Wirton sta ancora prima nel ridare importanza a questi ragazzi, nell’offrire loro uno spazio di libertà, in fondo, un momento in cui non sono “il profugo afghano” o “la profuga siriana”, ma una ragazza o un ragazzo che si confrontano con altri ragazzi, che possono respirare aria anche diversa, più fresca, si spera. Sapendo che poi prima o poi apriranno le ali per conto loro, sperando che prendano il volo.
Frequentare la scuola Penny Wirton come “docente” è stato per me un modo concreto e vero di contribuire socialmente a quello che mi pare un progresso, e importante; la ricchezza umana che ne ho ricevuto, quella è invece una bellezza e una fortuna.
Spero che le mie parole abbiano reso giustizia alla realtà, almeno un minimo: che l’abbiano fatto o meno, vi invito tutti a provare (in questi ultimi momenti dell’anno o l’anno prossimo, che importa) quest’esperienza, perché potrebbe dare tanto ai ragazzi che vengono, ma tanto anche a voi, perché fa bene a tutti aprire il proprio mondo.