Diritti: riconoscerne il valore nell’assenza
Siamo talmente abituati ad alcuni diritti fondamentali – camminare mano nella mano, di non far crescere la barba, di leggere e cantare quello che si vuole, di lasciare i capelli al vento, di esprimere opinioni, di vestirsi, mangiare e bere come meglio si crede – che soltanto qualcun altro può condurci e farci capire che vuol dire esserne privati.
Da Milano, Silvia Vannini, volontaria della Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, ci racconta l’esperienza di una visita guidata con una coppia di giovani iraniani.
Shahram in visita la villa storica a Milano
di Silvia Vannini
Ci interroghiamo spesso sulla modalità migliori per coinvolgere e, in definitiva, accogliere i nostri studenti. Questa riflessione, che ci porta ad ascoltare e a tentare di capire la storia, il carattere, le esigenze di questi nostri interlocutori, mi ha indotto a proporre di fare lezione sul territorio anziché nei locali della scuola. Una visita alla città, lo sappiamo, può offrire spunti di comprensione dei luoghi in cui la vita li ha condotti e contribuire a consolidare il processo di integrazione nel nuovo Paese.
Così ho invitato Shahram, cui insegno l’italiano alla Penny Wirton da quasi due anni, a visitare con me la villa Necchi-Campiglio, una casa-museo entrata a far parte dei beni Fai di Milano. In un quartiere tranquillo del centro, la villa, progettata nei primi anni Trenta dall’architetto Piero Portaluppi su incarico di industriali al passo con i tempi, ospita oggi alcune importanti collezioni di opere d’arte del Novecento. Scrivo queste righe mentre è ancora fresca l’impressione dell’esperienza.
Shahram è iraniano, persona colta e gentile, ed è venuto a villa Necchi-Campiglio con la moglie, anche lei iraniana. Posso solo immaginare, dai loro racconti sobri e dalle conversazioni avute nel tempo, quali siano i sentimenti di chi è costretto ad abbandonare il proprio Paese per trovare un po’ di libertà: libertà di camminare mano nella mano, di non far crescere la barba, di leggere e cantare quello che si vuole, di lasciare i capelli al vento, di esprimere opinioni, di vestirsi, mangiare e bere come meglio si crede. Sono arrivati in Italia otto anni fa ma, soprattutto per lui, a causa del lavoro che svolge online con altri Paesi, non sono molte le occasioni per parlare l’italiano.
Su mia richiesta, quindi, Shahram ha gestito volentieri il dialogo con la persona della biglietteria, aderendo anche alla proposta di iscrivere se stesso e la moglie al Fai. La visita poi si è svolta con il supporto dei volontari che, per ciascuno degli spazi della villa, hanno illustrato, in modo chiaro e comprensibile, le vicende storiche, i dipinti, gli arredi e le curiosità collegate. Ho invitato entrambi a porre domande alle guide e sono intervenuta solo quando ho colto qualche piccola incomprensione. Mi piace sottolineare che, grazie alla cortesia della mia coppia e dei volontari Fai, la visita si è svolta in un’atmosfera di armonia e interesse reciproco.
Grande sorpresa quando si è scoperto che alla caffetteria della villa lavora un loro amico iraniano, e allora sono stati abbracci e scambi di battute in farsi… ma l’ordine delle nostre bibite è poi avvenuto in italiano. Durante la consumazione, seduti al tavolo, abbiamo conversato di svariati argomenti e ho potuto raccogliere le considerazioni sulla visita insieme alla serenità, alla distensione suscitate da un pomeriggio diverso.
Sullo sfondo, l’Iran era sempre presente, le preoccupazioni per la sanguinosa repressione attuata dal regime, così come il pensiero degli amici e dei parenti rimasti a subirne le dure conseguenze. Mi sono resa conto che, pur vivendo a Milano da alcuni anni, la routine quotidiana e del lavoro – unita agli affanni derivanti dalla condizione di rifugiati – ha limitato in qualche misura lo stimolo a conoscere la città.
Ho colto più lucidamente non solo quanto sia proficuo l’esercizio della lingua in circostanze reali e concrete, alternato alle sessioni più prettamente scolastiche, ma anche come siano sempre vivificanti lo scambio e il confronto con le altre culture, in particolare quando sono fra le più distanti da noi. Siamo talmente abituati a godere dei nostri diritti da dover essere condotti a ricordare che tanta parte della popolazione mondiale ne è dolorosamente privata. Al momento di salutarci, ci siamo riproposti di trovare altre occasioni per uscire insieme e così rafforzare e allargare le nostre reti di amicizia.