Migranti: studente Penny Wirton terzo al concorso Caritas
Uno studente della Penny Wirton di Roma si è classificato terzo nella sezione dedicata ai partecipanti dai 15 ai 19 anni del concorso indetto dalla Caritas dal titolo “Un incontro, una storia“.
Il terzo posto per questo ragazzo pakistano, poco più che diciottenne, in un concorso in cui si competeva sulla parola scritta, per tutte le volontarie e volontari della Penny Wirton ha un valore incalcolabile.
Lui si chiama Abaid Malik, lo abbiamo già incontrato su questo blog nell’articolo “Due cose che ho imparato ‘alla’ e ‘sulla’ scuola” e lo vogliamo festeggiare riportando qui un estratto del racconto che ha scritto, supportato da due liceali coetanee che hanno seguito le sue evoluzioni letterarie attraverso i percorsi di alternanza scuola lavoro.
Il racconto per intero sarà pubblicato nel volume della Caritas, di prossima uscita… e certamente qui lo rilanceremo.
Un ragazzo preciso
di Abaid Malik
Mi chiamo Imran, vengo dal Pakistan, sono musulmano, ho quasi 18 anni e sono un ragazzo preciso. Sono partito dal mio Paese il 23 settembre del 2016. Avevo un po’ di paura perché era la prima volta che uscivo da solo dal mio Paese. Avevo 14 anni. Quando sono uscito da Sambrial, che per essere precisi è una città del distretto di Sialkot nella provincia del Punjab, erano le 14:00. Quando ho lasciato Sambrial era una bella giornata con delle nuvole bellissime nel cielo. Prima ho pranzato con tutta la mia famiglia. A casa siamo otto: cinque maschi e tre femmine. Loro adesso sono sette perché io sto qui, in Italia. Per la precisione siamo sempre otto, ma a distanza.
Tornando a quel giorno, il 23 settembre del 2016 alle 14, il mio viaggio è iniziato quando ho preso un treno da Sambrial fino a Karachi, da solo, e ho fatto circa due giorni di viaggio. Quando sono arrivato alla stazione ho visto tantissime persone che scendevano da un treno e salivano sull’altro. Una persona, in mezzo alla folla, mi aspettava. Mi è venuta a prendere e mi ha ospitato a casa sua per un po’ di tempo: qualche giorno. Dopo qualche giorno, quindi, sono ripartito da lì e ho raggiunto Quetta con un autobus. Quetta è la città più grande della provincia del Belucistan e un pakistano pure se non l’ha mai vista, quando sente nominare Quetta, sa di che cosa si sta parlando: è da qui che vengono esportati molti dei prodotti alimentari che arrivano in tutte le province del Pakistan. Però non ci sono solo i campi a Quetta, perché durante il viaggio ho visto delle montagne alte e questa, come le nuvole belle nel cielo, è una cosa che mi ricordo bene del mio viaggio, rispetto ad altre cose che per non farmi venire la gobba e le spalle curve non mi sono portato dietro e ho lasciato andare. Mi ricordo pure una cosa che ho imparato a Karachi, e cioè che è una città famosa per un personaggio. Dopo la sua morte è stato costruito un monumento nel luogo in cui è stato seppellito. Il monumento si chiama Quaid-e-Azam, che significa una cosa tipo grande capo che è come chiamavano il personaggio famoso quando era vivo e come lo chiamano ora, dopo che è morto nel 1948, ma comunque lui quando è nato si chiamava Mohammad Ali Jinnah. Questo personaggio è famoso perché, quando non esisteva il Pakistan e c’era soltanto l’India, voleva creare un unico stato islamico soltanto per i musulmani staccato dall’India. Ghandi però non era d’accordo, la sua intenzione era quella di creare un unico stato e basta, senza la parola islamico vicino, ma purtroppo non ci è riuscito. Quaid-e-Azam, alla fine, invece è riuscito a fare lo stato islamico dopo aver fatto tanti sacrifici. A Karachi si dice che è grazie a lui che siamo indipendenti.
Comunque, ritornando al discorso di prima, ho costeggiato a piedi e anche con i mezzi di trasporto il confine afgano fino ad arrivare in Iran. Dopodiché ho preso una macchina da un paesino di cui non mi ricordo il nome, tra l’Afghanistan e l’Iran, per arrivare a Teheran. La macchina, ovviamente, non la guidavo io. Ero sempre minorenne. La macchina la guidava un altro. Di più non mi ricordo, perché come ho detto prima non mi sono voluto appesantire la testa e quello che mi è rimasto in mente è che Teheran è una città bella. A Teheran ho visto le case che erano una vicina all’altra, non come a Sambrial, ho visto le strade che erano luminose e piene di traffico. A Teheran ho incrociato delle persone di diverse nazionalità di cui la lingua, la cultura e le abitudini erano proprio diverse da quelle che avevo io e questa cosa mi ha stupito perché essendo piccolo non sapevo tante cose cioè non sapevo com’era la vita fuori dal mio Paese, com’erano le persone, com’era il mondo insomma. A Teheran mangiavo esclusivamente il pane con lo yogurt, però qualche volta mi sono capitati pure dei cibi più buoni. Ma dopo un po’ sono ripartito e quando me ne sono andato a Teheran c’era ancora un gran traffico. Anche quello me lo sono lasciato dietro.
E così dopo un po’ di giorni sono arrivato al confine con la Turchia…