Migranti. I viaggi passano, i dolori restano: Iran-Italia
Dalla Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, di Milano riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di una donna iraniana. Amira, nome di fantasia, oggi ha 46 anni: è laureata in psicologia, nella sua terra era docente universitaria specializzata in disturbi mentali dell’infanzia. Quattro anni fa, sopraffatta dalle discriminazioni e persecuzioni quotidiane del regime, fugge con il marito e la figlia, senza documenti, a piedi. Suo marito è un ingegnere, la loro bimba allora aveva 11 anni, oggi ne ha 16.
Il loro drammatico viaggio, dall’Iran all’Italia, come il racconto che segue, è lungo seppur collocato in un tempo indefinito. Amira ricorda soltanto una data: il 12 ottobre del 2017, giorno in cui con la sua famiglia finalmente arriva in Italia, a Roma. La situazione, però, non va meglio: Amira è in un profondo stato di depressione e la sua bambina subisce molestie da un coetaneo. Gli assistenti le trovano un’altra collocazione, fuori città, fino a quando non arriva a Milano.
Ora suo marito ha trovato lavoro come guardiano notturno in un garage. Lei ha fatto amicizia con altri iraniani, di sera lavora in un ristorante, di giorno fa formazione professionale e studia italiano gratuitamente alla Penny Wirton con la volontaria Joan Haim. La bambina che oggi ha 16 anni va a scuola e parla molto bene l’italiano. Il viaggio è passato, i dolori sono rimasti: quelli, purtroppo, sono per sempre.
I viaggi passano, i dolori restano: Iran-Italia
di Amira, nome di fantasia di una donna iraniana
Il popolo iraniano ha una cultura di 5000 anni. È stato oppresso dal governo della Repubblica islamica per 45 anni e il governo iraniano ha portato via nostra richezza e cultura nazionale, c’è stata l’appropriazione indebita di petrolio, gas, laghi e acqua. La nostra nazione diventa, ogni giorno più povera e il popolo iraniano non ha il diritto di difendersi, non ha libertà di parola, non ha libertà di scelta nella religione, nello stile di vita. Se qualcuno protesta sarà torturato e imprigionato.
IN IRAN. I nostri problemi sono iniziati da lì, da che non abbiamo fatto quello che ci hanno chiesto di fare e abbiamo chiesto giustizia. Siamo stati licenziati perché ci opponevamo all’oppressione e combattevamo contro i furti. Arresti, percosse, insulti e minacce di morte: così abbiamo deciso di fuggire.
LA FUGA. Noi abbiamo dovuto lasciare la nostra patria. Abbiamo cominciato di andare da Turchia a Grecia con un gruppo a piedi nella foresta, nel modo più duro. Dovevamo andare. Abbiamo attraversato un palude e una lunga risaia, abbiamo raggiunto un fiume con una piccola barca, che era vecchia e perforata. Lasciato il confine turco, abbiamo raggiunto la foresta greca, con vestiti fangosi e bagnati, senza scarpe. Abbiamo continuato il nostro viaggio in un’altra foresta oscura e pericolosa, piena di cespugli. Mentre era presente la polizia noi dovevamo passare in silenzio, dopo aver camminato per due ore abbiamo scoperto che eravamo persi. Quindi abbiamo vagato confusi, siamo stati nella foresta senza cibo e acqua per tre giorni. Avevamo fame e sete, la mia figlia non ce faceva più.
IN GRECIA, L’ARRESTO. Abbiamo camminato per strada, poi la polizia greca ci ha arrestati e ci ha portati al centro di detenzione. Siamo stati in prigione per due notti. Ci hanno trattato molto male, ci hanno picchiato e hanno preso tutti i nostri soldi e le nostre cose, dopo ci hanno portato di notte al fiume di confine turco. Con un comportamento brutale. In quella notte abbiamo camminato fino alla mattina, dopo abbiamo preso l’autobus e siamo tornati a Istanbul. Eravamo malati e tutto il nostro corpo era ferita.
DALLA TURCHIA ALL’ITALIA. Siamo rimasti in Turchia per una settimana e dopo ci siamo trasferiti di nuovo e siamo volati in Serbia. La Serbia era piena di immigrati che non potevano attraversare il confine e sono rimasti bloccati. Abbiamo aspettato un mese per poter uscire dal Paese con un passaporto falso. Finalmente siamo arrivati in Italia, con un passaporto austriaco ma la polizia di Roma ci ha arrestati e siamo rimasti due notti in aeroporto. Siamo stati condannati per falsificazione di documenti ma poi hanno scoperto un trafficante di esseri umani che ci aveva preso i soldi e ci aveva portato fino a qui. Finalmente siamo stati portati al campo di Roma.
ROMA. Dopo 40 giorni di fatica, ansia, preoccupazione, malattia, arriviamo in un luogo sicuro nel 12 ottobre 2017, ma nel centro di Roma abbiamo avuto molti problemi: i cibi a bassa qualità e le stanze troppo sporche, con gli animaletti piccoli che hanno pizzicato tutto il corpo della mia figlia. Ogni notte litigavano in maniera molto forte, gli arabi con gli africani, per la droga, i soldi, eccetera. Noi non potevamo sentirci al sicuro e io, rispetto ai problemi che avevo percorso in Iran, ho preso una forte depressione. Neanche con tante medicine potevo dormire. Gli arabi (un ragazzino arabo, ndr) hanno menato la mia figlia e dal centro ci hanno detto per la nostra sicurezza che ci devono mandare a un centro fuori di Roma, che però era molto peggio di quello di Roma. Dopo, quindi, noi siamo arrivati qui (a Milano, ndr) perché non potevamo sopportare lì.
Da quel giorno mia figlia ha paura della polizia, e io e mio marito siamo molto depressi. Questi ricordi rimarranno sempre nella nostra mente come una vecchia ferita che ogni volta che ricordiamo, involontariamente, versa lacrime sulle nostre guance.
*** Per scelta editoriale, in accordo con lo stile dettato dal fondatore Eraldo Affinati nei suoi libri, i racconti dei migranti della Penny Wirton, non vengono né modificati, né corretti. I testi sono sottoposti soltanto a una lieve revisione laddove risulti compromessa la comprensione ***