Inclusione: “Un capo in b” per le studentesse kosovare
Nei bar di Trieste il caffè macchiato al vetro, ovvero servito in un bicchierino anziché in tazza, è noto come “capo in b”, espressione che sta a indicare un piccolo cappuccino al bicchiere. Un’abitudine, quella di ordinare “un capo in b”, che le studentesse kosovare Kujtesa ed Elfie hanno appreso immediatamente e che è al centro di questo racconto che arriva dalla Penny Wirton di Trieste, scuola di italiano gratuita per migranti.
Un capo in b
di Marina Del Fabbro
Ho conosciuto Kujtesa quest’estate. Vedova da pochi mesi, era arrivata in Italia dal Kosovo con i suoi quattro figli dopo la morte del marito in un incidente sul lavoro. I documenti la raccontavano poco più che trentenne, ma a vederla la si sarebbe detta più avanti negli anni. Forse a causa dell’abbigliamento dimesso e le movenze affaticate, lo sguardo triste e gli occhi sempre bassi.
L’apprendimento della lingua non le dava grandi soddisfazioni. Poco scolarizzata, non in buona salute, con scarse occasioni di parlare italiano e parecchio disorientata, Kujtesa faceva decisamente fatica. Al punto che la volta che non l’ho vista arrivare ho pensato che avesse deciso di arrendersi. Invece era solo un ritardo: doveva aspettare la fine della cottura del burek che, ancora caldo e fumante, mi ha portato con evidente soddisfazione. E poi sono arrivate frittelle, panini e molto altro.
Con il tempo siamo riuscite a conoscerci meglio: le ho chiesto dei figli, mi sono messa in contatto con le maestre della bambina, abbiamo visionato assieme il registro e prenotato il vaccino per lei e i figli maggiori. Ma soprattutto, con il progredire dell’italiano, anche una maglietta più colorata e profumata di bucato, una sciarpetta al collo e persino qualche sorriso, una risatina. Kujtesa è ringiovanita.
Un giorno è arrivata addirittura con un’amica. La mamma di un compagno di scuola del figlio minorenne, kosovara pure lei e anche lei desiderosa di imparare italiano. La loro è una sincera intesa. E così i nostri incontri si sono fatti più vari e piacevoli perché Elfie è allegra, sorridente, vivace. E ho anche scoperto che nelle giornate libere ripetono e ricopiano insieme quanto fatto con me.
Gli orari di Kujtesa e della scuola Penny Wirton non sempre corrispondono: facciamo quindi lezione al tavolino di qualche caffè quando lei ha del tempo a disposizione. Siamo state all’aperto fino a dicembre, perché sia lei che Elfie si sono vaccinate solo a natale, ma da gennaio abbiamo cominciato stare al chiuso e qualche volta vengono a trovarci anche i figli, se escono da scuola in anticipo. Spesso arrivano anche fiori o regalini per i compleanni: vere feste.
L’aspetto singolare di questi incontri è che mentre io, sempre vissuta a Trieste, al bar ordino un banalissimo caffè macchiato, mentre loro prendono sempre due “capo in b”, la più triestina delle richieste.
Elfie e Kujtesa, bravissime! Col “capo in b” siete già sull’ottima strada dell’inclusione.